giovedì 10 gennaio 2008

Cosa resterà degli anni 80?

Per stare al passo coi tempi non dimentichiamoci degli ’80. Questa estate film, libri e canzoni celebrano il decennio più kitsch del secolo.
Cosa resterà degli anni ’80? Questo si chiedeva il cantante Raf, preoccupato di una certa vacuità, del pensiero debole di un decennio ricco di risorse finanziarie e non culturali, periodo in cui il benessere materiale ed edonista prevaricava qualsiasi altra priorità. La preoccupazione dell’artista foggiano, però, ora risulta infondata. Anche gli anni Ottanta, infatti, stanno trovando i loro cantori, divisi tra apologia e nostalgia, dopo un periodo di oscuramento, anzi, per meglio dire, indifferenza. Che, a dir la verità, non è mai stata davvero tale. Da sempre la generazione dei trenta - quarantenni di oggi coltivano un culto degli anni della propria infanzia e adolescenza. Per lungo tempo di questo revival clandestino è stata protagonista la musica, in particolare le sigle dei cartoni animati – da molti anni, per questo, vive un successo di pubblico costante la band dei Cialtroni Animati - e il pop caratteristico di quel periodo, simbolo amato da milioni di persone, pur se odiato dai critici. Quest’ultima è stata, e continua ad essere, persino centro di incontri serali poco conosciuti chiamati Torretta. Sorta di rave pacifico, non occupa fabbriche né campi per lo sballo più estremo, ma è un raduno in un posto prestabilito dove si danza prevalentemente sulle note di Nada, Duran Duran, Mazinga, Samantha Fox. E da qui parte il successo, imprevisto ma non imprevedibile, del cinema recente che racconta quegli anni ruggenti. Parte proprio da colonne sonori gioiose e danzanti. Il fenomeno nasce, in parte, con Federico Moccia, alfiere clandestino e ora acclamato di una certa atmosfera. Tre metri sopra il cielo, suo successo editoriale – e poi cinematografico grazie alla regia di Luca Lucini- ha dovuto aspettare dieci anni per il riconoscimento del mercato e, in parte, anche dei critici. Prima, invece, era stato protagonista di una diffusione carbonara della storia della “parolina” Babi e del ribelle Step, tramite fotocopie passate di mano in mano tra studenti. Ora le edizioni non si contano e nel 2007 vedremo persino un adattamento teatrale, i cui provini al Teatro della Luna di Assago ha visto l’affluenza record di ben 500 aspiranti attori. Storia non così diversa da quella di Fausto Brizzi, che ha subito il rifiuto di una ventina di registi e di vari produttori alla sceneggiatura di Notte prima degli esami. Alla fine ha deciso di girarselo da solo. Ora si gode la percentuale sugli ottimi incassi che si era assicurato. Non solo, nel suo piccolo, entrerà nella storia. Precursore della riscoperta di un genere, inizierà prestissimo a lavorare sul seguito del successo, confermando in blocco cast tecnico e artistico. Sicura anche l’edizione di un adattamento letterario. Insistenti persino le voci di un serial televisivo a loro dedicato, sulle tracce di College, successo di pubblico al cinema con Federica Moro, che seppe spopolare anche in tv, proprio in quegli anni. Il tubo catodico, appunto, ha un ruolo fondamentale in questo processo. Come già detto popola i ricordi di una generazione che ne ricorda i cartoni animati, ma anche le serie televisive americane “storiche”. Da Mork e Mindy, con un allora esordiente Robin Williams, ad Hazzard e Starsky & Hutch, non a caso proprio in questi anni rispolverati sul grande schermo dalle major americane. In Italia, inoltre, l’unica auto-rappresentazione, quasi immediata, forse venne proprio dalla televisione. Indimenticabili, anche nelle loro ingenuità, i film sugli Yuppies (i famosi rampanti con l’orologio sul polsino di cui cantava Barbarossa- ndr), I ragazzi del muretto e I ragazzi della III C, fotografia dell’ultima epoca davvero romantica di questo secolo. Già, perché è questo il segreto del successo, ora conclamato, di un decennio così particolare e del ritorno delle pellicole generazionali e delle commedie giovanilistiche. Chi le scrive e le gira, infatti, fa parte di quell’ultima generazione che giocava con gli amici in strada e che non si vestiva alla moda fin dalla più tenera età, ma allo stesso tempo conosceva lussi come tv a colori, computer e walkman. Avveniristici per i propri genitori, ma antichi per i propri figli. Una generazione di mezzo, spesso insultata e sottovalutata per non aver fatto il ’68 ed aver “permesso” Tangentopoli e il Craxismo. Una generazione nata con il mito del posto fisso e che ora lotta disperatamente con la precarietà. Una generazione che ha espresso, soprattutto nella sua borghesia, messaggi deteriori e superficiali. Come evidenzia, con bravura, Carlo Virzì, fratello d’arte, che nella sua opera prima L’estate del mio primo bacio, tratta anch’essa da un libro, Adelmo torna da me di Teresa Ciabatti, sferza quei ricchi presuntuosi e superficiali che amavano fare vacanza all’Argentario e coltivare il vuoto nella propria anima e nel cervello. Nonostante non mancassero gli input. O forse proprio per questo. Come gli anni Cinquanta, infatti, trent’anni dopo si viveva un clima da dopoguerra, in cui c’era una ricerca della distrazione e benessere dimenticati. Il che spiega anche il ritorno di fiamma attuale. Si veniva dagli Anni di piombo, le stragi di stato, l’ultima parte della Guerra Fredda, di cui Afghanistan e attentato al papa sono solo due tappe. Cade, alla fine, il Muro di Berlino, si respirerà, come disse Francio Fukuyama, un clima da fine della Storia. Si balla sul Titanic che affonda, insomma. La domanda, quindi, è: sono davvero finiti gli anni Ottanta?

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